Con più di un “embrione” prelevato da Toy Story (dove emozioni ed immaginazione sono stati esplorati), Inside Out è un esperimento unico e forse il titolo per ora più coraggioso e maturo, dove la ricerca artistica della Pixar si materializza nel modo più visionario.
A parte le simpatiche emozioni antropomorfizzate protagoniste, sono geniali la rappresentazione visiva dei processi mentali, la resa delle varie parti della “personalità”, lo straniante pensiero astratto, i ricordi (generati quasi con una citazione delle sferette su cui erano incise le premonizioni dei precog in Minority Report).
Pixar diverte e commuove (soprattutto) perché le fasi della bambina protagonista più o meno in modo simile le abbiamo vissute, e tornando a Toy Story, mentre li il tutto era mediato dal punto di vista “esterno” dei giocattoli (percursori delle “emozioni” di Inside Out), qui ci si è spinti oltre giocando (seriamente) con la psicoanalisi di una fase conflittuale della crescita. A proposito di commuoversi, molto difficile resistere con la sequenza dell’amico immaginario *SPOILER* che diventa “agnello sacrificale” auto-relegandosi all’oblio.
Inside Out è da vedere al cinema, per la perfezione tecnica, la razionalizzazione grafica di questo luogo virtuale del carattere/pensiero e soprattutto perché nel buio della sala lo spettatore potrà più facilmente abbandonarsi al gioco (auto-analisi) di decodificare le gag tra i pupazzi-emozioni relazionandole a se stessi. Un film che per questo motivo sembra forse voler piacere più ai ‘grandi’.
Film propedeutici alla visione: Toy Story 3, Inception
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