Lars von Trier ha girato un film, anzi un incubo

Delirio! Preparatevi ad 1 ora e 40 di puro delirio, ma per chi conosce Lars von Trier e si accinge a vedere un suo “thriller” sa già che sarà destinato a vedere qualcosa di molto diverso da tutto ciò che ha visto. La storia, senza andare nei dettagli, vede una coppia alle prese con l’elaborazione del dolore per la morte del figlio, lui Willem Dafoe un terapeuta proverà ad aiutare la moglie, Charlotte Gainsbourg, soggiornando nella desolata casa di montagna (Eden). Se questa è la premessa… potete immaginarvi il resto.

Per molti versi è in effetti così: anche se chi frequenta le visioni di Lynch o Cronenberg sarà un po’ vaccinato The Antichrist è un crescendo di follia che solo pochi in sala riusciranno a reggere, decifrare e forse apprezzare.

Come in un film di Cronenberg si approfondisce la relazione tra corpo e ciò che lo circonda (in questo caso, la natura), contagia (e ciò che lo comanda, la mente). Con questo pretesto il regista trova lo spazio per mostrare i famosi minuti di sesso spinto (il film è vietato ai minori di 18)… più che spinto… “malato”, ossessivo, disturbing per dirla all’inglese.

A questo proposito ricordiamo il grandissimo banco di prova degli attori, prova estrema, scene di nudo integrale, sesso, ma sopratutto per la difficoltà delle sfumature delle psicologie (sensi di colpa, stati d’ansia); in questo senso il film è davvero da vedere.

Il film, anche se è slegato dai paletti imposti dal famoso manifesto “Dogma”, è girato come nello stile del regista quasi tutto con telecamera a spalla, scelta che conferisce in sinergia grazie con le luci ed ambienti un realismo notevole (caratteristica che, dato il soggetto, differenzia il film da quello che poteva essere l’ennesimo thriller all’americana).

Sempre a proposito del lato tecnico è doveroso citare le sequenze riprese a “non-so-quanti-fotogrammi”, restituendo poi degli slow-motion impressionanti che raccontano le fasi salienti del film in modo cinematograficamente eccelso. La fotografia inoltre è mozzafiato, la natura senza tempo e luogo di Eden, terzo vero protagonista oltre agli attori, è resa con toni ora fiabeschi, minacciosi, sempre di grande effetto. A posteriori, grazie alla dedica finale a Tarkovsky ho pensato che c’è qualcosa di Solaris, per vari fattori: la natura magica, viva, la fotografia, il senso di solitudine…

La musica come d’altra parte in tutti i thriller rende da sola l’impatto di scene in cui non c’è altro che l’inquadratura della natura selvaggia, ma questa è la magia del cinema. D’effetto ed elemento che contribuisce a rendere l’intero film fuori dal tempo, l’aria “Rinaldo, Lascia c’io pianga” (Georg Friedrich Handdel) usata nei.

Dopo queste note positive vi starete chiedendo il perché del mio voto? La storia. Lars si lascia prendere la mano dovendosi cimentare col thriller psicologico e il riferimento al satanico diventa un pretesto poco approfondito, se vogliamo banale e meglio raccontato in tante altre pellicole della storia del cinema. In alcuni punti si assiste quasi a momenti di ironia involontaria, tale è l’esagerazione dell’assurda escalation di follia.

Il film è “godibile” come esperimento (se siete forti, molto forti di stomaco e… di mente) di un “altro” modo di fare cinema, ma se vi aspettate un horror rimarrete delusi, se cercate un film di Lars von Trier con più “storia” non lo troverete qui: ad Eden c’è solo il delirio… e per carità, neomamme statene alla larga!

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