E così Birdman ha vinto l’Oscar, anzi quattro, meritatissimi, incluso miglior film. Cosa si può aggiungere? È sicuramente un’opera al limite dell’ambizioso: cerca l’essenza dell’amore, dell’”umano” nelle speranze, fragilità e difficoltà di un attore, un tempo celebre grazie a un immaginario superhero blockbuster (Birdman appunto), che si cimenta, per ottenere forse un riscatto artistico dopo la recitazione “monoespressiva” nel costume da uccello, in uno spettacolo teatrale di Broadway di cui cura anche la regia. L’eterna diatriba vera (o presunta)-arte vs. produzioni puramente commerciali è infatti uno dei livelli di lettura del film, ma la sensazione è che tutti qui siano perdenti o comunque ingranaggi e vittime di un sistema più grande che diventa un teatro claustrofobico. Esemplare in questo senso è il personaggio del critico teatrale, imprigionata in un cliché, ovviamente prevenuta nei confronti del lavoro del protagonista perché rappresentativo della odiata produzione di Hollywood a base di supereroi per “ragazzini brufolosi”.
L’adattamento del testo di Carver “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore“, che il protagonista tra mille difficoltà vuole portare sul palcoscenico, sfuma nella realtà (o almeno così viene da lui vissuto, e da noi spettatori percepito); apprenderemo poi che Riggan Thompson (è il nome del protagonista) pur confuso, sa benissimo, non senza rimorsi, quale sia stato il momento “perfetto” che si può ricondurre a quell’amore totale di cui si parla. Ci perdiamo nei dialoghi, nelle prove disastrose della fatidica “prima”, nelle liti dietro le quinte, nella tensione erotica tra la figlia e l’attore che ruba la scena, condividiamo in pratica la stessa ansia da debutto dei protagonisti. Questo è il genio di Birdman: toccare i temi più profondi della vita, le incongruenze, debolezze e grandezze mentre si prepara uno spettacolo, parlando di un altro film, mentre siamo in un film…
Michael Keaton immenso e praticamente autobiografico (se ci pensiamo lontano dalle scene lo è stato e Batman può essere considerato un po’ il suo “Birdman”…) che si lascia andare a un patologico dialogo interiore che accompagna una discesa disperata, stimolato da Edward Norton “teatrante” per eccellenza, egocentrico e problematico, tra gli altri troviamo una perfetta Emma Stone che interpreta la figlia appena uscita dall’”immancabile” rehab e la bellissima Naomi Watts che sembra quasi ricalcare il suo personaggio di Mulholland Drive e suggerire il gioco di rimandi e connessioni sul mondo dello spettacolo.
La regia perfetta lascia che la macchina da presa vaghi come la mente travagliata del protagonista in un labirinto di Broadway attraverso piani sequenza in realtà millimetrici che danno l’illusione di un’infinita unica ripresa (nel teatro d’altra parte non c’è montaggio…). Un film da vedere e rivedere, possibilmente in lingua originale per non perdere l’intensità della recitazione e per notare dettagli della sceneggiatura che fanno di un film un capolavoro.
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