Razionalizzare cosa sia Star Wars è complesso. Prima di tutto è (o almeno lo è stato fino alla penultima trilogia) il sogno di un solo, folle visionario: George Lucas. Dall’uscita al cinema del primo episodio (il IV capitolo nella cronologia narrativa), l’impatto del lavoro di Lucas e del suo team è così forte sull’immaginario del pubblico (avendo creato qualcosa di tecnicamente e creativamente unico per l’epoca), che viene accolto e amato come è accaduto a pochi prodotti nella storia dell’intrattenimento. Il paragone più simile al fanatismo verso Star Wars che mi viene in mente, è quello con i Beatles (per non essere ancora più blasfemi).
La sceneggiatura per L’Ascesa di Skywalker doveva tenere conto di questa eredità e di tantissimi fattori che farebbero impallidire chiunque dovesse cimentarsi con un compito del genere: soddisfare diverse generazioni di fan con un finale che non solo suggellasse una trilogia, ma rendesse omaggio ai personaggi dell’intera saga di film (che abbraccia un arco di quasi quarant’anni!). Recuperare la delusione che molti (fortunatamente non tutti) hanno avuto dal capitolo precedente, ‘Gli ultimi Jedi’, rispondere a interrogativi posti dalla nuova trilogia e non ultimo dover far combaciare il tutto raccogliendo le istanze di alcuni attori che, non contenti del proprio personaggio, ne hanno chiesto uno sviluppo più soddisfacente. Ah, ovviamente non dovrebbe mancare un colpo di scena come lo storico, parodiato “Io sono tuo padre!”, pronunciato da Darth Vader a Luke.
JJ Abrams crea uno dei capitoli più lunghi nella saga, avvalendosi ovviamente di un budget idoneo a un film di tale portata e di effetti visivi che il Lucas degli anni ‘70 forse neanche immaginava possibili.
Riesce a mio parere nel difficile compito di uscire dalla “deviazione” de Gli Ultimi Jedi, dove la morte un po’ repentina di Snoke (misterioso “cattivo” introdotto ne Il Risveglio della Forza) e la fine di Luke Skywalker privato di un “vero” duello epico, avevano fatto storcere il naso a molti fan.
*** SPOILER ***
Come la supera questa difficile prova? La supera con qualche passo falso ovviamente, ma soprattutto tornando al passato, con il recupero di un personaggio-icona delle vecchie trilogie e che si considerava morto e sepolto: l’imperatore Palpatine, l’incarnazione della malvagità. Personaggio che ora, su un oscuro inedito lontano pianeta, sta lentamente riprendendo vigore e si inserisce senza molti preamboli (nota negativa) nell’intreccio tra Keylo Ren (cattivo tormentato, figlio di Leia e Han Solo, con ambizioni che ricordano quelle del nonno Vader) e la determinata apprendista Jedi (ma apparentemente figlia-di-nessuno) Rey.
Come sottofondo una resistenza guidata da Leia ormai ridotta ai minimi termini, con un filo di speranza. Le quasi due ore e mezza di film sono visivamente incredibili, con il ritmo serrato tipico a cui il regista ci ha abituati, ritmo che forse lascia poco spazio a momenti “poetici” (come l’apparizione di Yoda ne Gli Ultimi Jedi ad esempio). E la necessità di dover riempire questo episodio con diversi avvenimenti e momenti epici, come fosse un hamburger straboccante, porta si a un risultato tecnicamente ammirevole ma dove qualche “pausa” in più avrebbe appunto giovato.
L’effetto nostalgia è sfruttato non solo sui personaggi (ritroviamo ad esempio Lando Calrissian oltre a Leia che ‘rivive’ grazie a del girato scartato dal capitolo VIII), ma anche sul recupero di location iconiche care ai fan: incredibile la resa scenica del relitto della Morte Nera che emerge da un immenso oceano in tempesta… e il finale con un luogo che tocca davvero il cuore di chi ha visto i primi capitoli della saga.
Non mancano nuovi alieni buffi e personaggi di cui potrebbe risultare interessante sapere di più e infatti fanno pensare ad una ”assicurazione” Disney per poter continuare a sfruttare l’investimento fatto con il franchise Star Wars, attraverso possibili futuri spin-off.
Rey, interpretata dalla fotogenica ed espressiva Daisy Ridley, ha sequenze con primissimi piani di grande effetto (tra tutte la scena verso il finale in contrapposizione al cielo stellato).
Non viene buttato via molto de Gli Ultimi Jedi in realtà, anzi, gli elementi introdotti da Johnson sono sfruttati da Abrams con furbizia, come il contatto telepatico/fisico tra Rey e Ren, qui portato all’estremo ed essenziale per risolvere alcuni passaggi narrativi (oltre che di grande suggestione scenica). Anche Snoke viene in qualche modo “spiegato”, si accenna persino al personaggio di Holdo(!); forse l’unica vera presa di distanza è dalla possibile storia sentimentale tra Rose e Finn.
Comunque in relazione a questo, non capirò mai come sia possibile che per film con budget del genere, non venga stabilito prima un canovaccio di massima condiviso tra i vari registi che dovranno passarsi il testimone tra un capitolo e l’altro…
John Williams usa praticamente tutti i temi musicali dei personaggi a disposizione, riarrangiandoli con il risultato di un coinvolgimento emotivo notevole.
A parte eventuali aspettative disattese (l’evoluzione finale di Kylo Ren potrebbe forse deludere qualcuno), date le complessità accennate all’inizio e la consapevolezza che un film con questo fardello è IMPOSSIBILE che possa mettere tutti d’accordo; possiamo dire che questo ultimo capitolo è una più che degna conclusione del mitologico arco narrativo “stellare”. Non aspettatevi troppa “maturità” o momenti di approfondimento rispetto agli altri episodi, ma un giocattolo quasi perfetto e con un pizzico di nostalgia.
Superfluo da dire, Star Wars L’Ascesa di Skywalker è un film da vedere sullo schermo più grande a disposizione nella propria città. Dal 4 maggio (ovvero il “may the fourth… be with you”, giorno decretato ad essere l’anniversario ufficiale del mondo di Star Wars) 2020 l’ultimo capitolo della saga sarà disponibile in streaming su Disney Plus!
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