Del Toro è una delle figure geniali del cinema contemporaneo. Lo dimostra nella capacità di saper coniugare senza paura blockbuster “per nerd” (Pacific Rim) e film come “Il Labirinto del Fauno” e appunto “La forma dell’acqua” che ambiscono a premi e riconoscimenti di critica.
Col suo ultimo film si intuisce da quanto stia meditando di portare a compimento quella che a tutti gli effetti è un’opera della “maturità”. L’idea della creatura dell’acqua sicuramente sarà venuta in mente ad un giovane Del Toro mentre lavorava ai film su Hellboy; il riferimento è al personaggio Abe Sapien, a cui da “forma” tra l’altro lo stesso attore Doug Jones, con la stessa eleganza fuori dal tempo.
Il mostro acquatico riservato e intellettuale di un fumetto serve al regista come spunto per il suo progetto che lo porta a tredici candidature Oscar. Perché la storia “semplice” e perfetta fatta di pochi personaggi ben delineati e interpretati è farcita di tutti gli elementi che possono convincere la Academy (e ovviamente i cinefili, tutti quelli che amano il buon cinema, quelli che riescono ad emozionarsi con il tip tap sulle scale di Shirley Temple e Bill Robinson). Le citazioni numerose sono più o meno esplicite: dall’età d’oro dell’industria cinematografica, al musical, i colossal, l’amore per l’arte in genere (grande consolazione per chi è “solo”), l’analisi dell’America anni ’60 in piena guerra fredda e con lo sguardo del presente su razzismo e omofobia. La creatura stessa è un chiaro omaggio al “mostro della Laguna Nera”, volutamente non (sempre) in computer grafica, ma… “reale”.
Dando per assodato che ormai niente più si inventa dal nulla, Del Toro ha saputo recuperare King Kong, Edward Mani di Forbice, la Bella e la Bestia (e forse anche un pizzico di Cocoon?) generando con maestria una nuova favola dark destinata a rimanere. Un inno alla sensibilità, alla diversità, alla solitudine e a come l’amore (o l’amicizia) può dare un senso a tutto ciò anche se non ha “voce”.
Tecnicamente – inutile dirlo – siamo di fronte ad un capolavoro, a parte il lavoro degli attori che grazie a questo film raggiungono i loro ruoli più riusciti (la “cattiveria” di Michael Shannon e la delicatezza sensuale di Sally Hawkins), ogni scena, set, illuminazione e movimenti di macchina sono di perfezione maniacale. La fotografia è tra le più sbalorditive viste ultimamente con un codice cromatico che lo stesso Del Toro spiega essere modulato non solo per sottolineare i personaggi ma anche i temi. Da vedere sullo schermo più grande possibile per gioire delle inquadrature, forse una storia d’amore non “digeribile” per tutti per la sua “stranezza” (siamo vagamente dalle parti di Tim Burton) e alcune sequenze più “esplicite” (ma necessarie). Link al blu ray (per quando sarà disponibile).
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