Un capolavoro. C’è poco da dire. La La Land del giovane regista Damien Chazelle è pura passione per la musica e il cinema. È di questo che parla il film (ed è forse in parte l’autoreferenzialità che gli giova per le 14 candidature all’Oscar), ma è anche una storia d’amore con molto altro: la ricerca del proprio posto nella vita, gli errori, il rimpianto, la scelta tra l’imposto dalla società e i sogni.
Il film inizia con un folle piano sequenza di una coreografia immaginata(?) su una tangenziale bloccata di Los Angeles, location dell’incontro tra Mia e Sebastian (questi i nomi dei personaggi di Emma Stone e Ryan Gosling). Come un antipasto per dire allo spettatore “è un musical, ma aspettatevi di tutto“. Un pezzo che parla del tema più tipico di Hollywood, l’ottimismo come propellente necessario al lasciare tutto alle spalle per cambiare vita, scena che anche per la scelta multietnica dei ballerini sembra stridere con l’attualità di Trump che addirittura chiude le frontiere.
È il gioco tra l’attingere all’estetica e stilemi dei musical storici e rendervi omaggio ma poi stravolgere o contaminare che fa di La La Land il capolavoro “fuori dal tempo” che è. *SPOILER* La fine del film (quella desiderata dallo spettatore che rimane non appagata) è forse l’aspetto più spiazzante (leggi originale) che contrasta con la classicità della storia; una grande regia è capace di colpirti al cuore con l’inquadratura di un’insegna al neon al momento giusto.
Regia maniacale, dinamica, virtuosa, così come è maniacale la fotografia e la ricerca del colore (magistrale la scena iniziale nella casa delle ragazze), l’innovazione nella tradizione del “golden age” hollywoodiano, l’interpretazione incredibile dei protagonisti che lavorano con una sinergia che ha del magico, la colonna sonora (City of Stars e Someone in the Crowd le più memorabili), la poesia. Qui c’è tutto.
Nota “fetish”: una delle amiche di Mia è la stupenda attrice/ballerina Sonoya Mizuno già vista in Ex Machina come “androide”.
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